Scritto da Admin
21 Lug 2008

Brand advocacy. Le armi vincenti del passaparola


A svelarlo è una nuova ricerca messa a punto da Weber Shandwick, condotta in collaborazione con Paul Marsden, già docente presso la London School of Economics e oggi tra i più importanti studiosi della brand advocacy e del passaparola. Il valore della brand advocacy è stato testato su cinque categorie merceologiche – telefonia cellulare, automobili, alcolici, TV e computer – e in quattro mercati europei, nei due più grandi mercati dell’Europa del Nord (Germania e Regno Unito) e nei due maggiori mercati dell’Europa meridionale (Spagna e Italia), attraverso oltre 4.000 interviste online condotte su un campione di consumatori in ciascun Paese.

Agli intervistati è stato chiesto se avrebbero raccomandato ad altri i brand di cui loro hanno recentemente fatto esperienza nelle cinque categorie. È stata testata anche l’ipotesi, dalla psicologia del passaparola, che la sorpresa (positiva ovviamente) è un elemento chiave della brand advocacy. Ma soprattutto l’obiettivo dello studio era arrivare a capire quanto la brand advocacy fosse più efficace nel sostenere le vendite, in confronto alla pubblicità, secondo il campione preso in esame.

La risposta presto data nelle parole di Richard Moss, EVP European Brand Programmes di Weber Shandwick: “In Europa è, in media, cinque volte più probabile che i consumatori siano indotti all’acquisto di un brand dalla brand advocacy piuttosto che dalla pubblicità. Con buona probabilità molti brand potrebbero quindi trarre benefici destinando una parte del loro budget pubblicitario a iniziative progettate specificamente per generare advocacy”. La ricerca ha inoltre evidenziato che, in media, un terzo dei consumatori di una marca hanno acquistato spinti dall’advocacy del brand. Questo fenomeno si rivela costante nei diversi mercati e nelle diverse categorie di prodotto. È stato poi riconosciuto che la brand advocacy è tanto importante per le categorie merceologiche di prezzo elevato, come le automobili, così come per quelle di prezzo più basso, come gli alcolici.

Per il marketing, una delle indicazioni più importanti emerse dalla ricerca è il potenziale di advocacy già esistente tra gli attuali consumatori di un brand. Lo studio citato evidenzia che, in media, 4 consumatori su 10 si percepiscono come “advocates” del brand acquistato. Solo 2 su 10 si considerano però “advocates” attivi. Ciò, per gli addetti marketing, comporta l’opportunità significativa di sviluppare piani che spingano questo gruppo e facciano leva sul suo eccezionale potenziale nel rafforzare la marca.”

Il word of mouth, ovvero il passaparola, dunque s’impone come strumento di marketing tra i più redditizi. Sempre secondo alcuni studi recenti un network di 100 persone genera un potenziale di circa 4950 connessioni, e un network di 1000 persone può arrivare ad attivare fino a 500.000 connessioni (small world phenomenon). La nuova centralità del wom è dovuta a diversi fattori: la moltiplicazione di fonti, canali e informazioni, l’inflazione della comunicazione promozionale con un conseguente calo della sua efficacia, la crescita del costo degli spazi pubblicitari, l’evoluzione orizzontale del web e della comunicazione in generale, il mercato long tail. Sta di fatto che secondo alcuni dati (dati NOP in Connected Marketing, di Kirby e Marsden) il 92% delle persone considera il passaparola la fonte di informazione più attendibile per le scelte di vita e di consumo.

Tra le varie forme del wom (online pr, viral marketing, reviews, social advertising, alternate reality games/immersive marketing, online seeding, buzz marketing) il buzz è quello che più aiuta a costruire una comunità/network di consumatori; instaura una relazione privilegiata diretta tra i consumatori e il brand; struttura la comunicazione del prodotto/servizio come collaborazione con i consumatori stessi; organizza la proliferazione delle conversazioni attraverso una serie di “campagne di passaparola”; trasforma queste opinioni in uno strumento di advocacy distribuita; stimola un “brusio” comunicativo che parte dal basso, prolifera e può crescere fino a contagiare i canali della comunicazione mainstream dei media tradizionali. Si è però capito oramai che per avere successo una campagna di passaparola deve seguire uno sviluppo narrativo, con attori principali e secondari, oggetti di valore, archi drammatici, colpi di scena, deve generare sorpresa.

Il Buzz marketing è un particolare e innovativo modo di fare comunicazione che, nella sua connotazione online, vuole sfruttare il potenziale positivo del passaparola con e nella rete. “Se è infatti vero che il web può essere considerato una sorta di “conversazione in corso” – sostiene Umberto Lisiero, brand activator di Promodigital – risulta allora quanto mai importante individuare i network nei quali il ronzio dei messaggi circa prodotti, servizi e iniziative possa risultare amplificato risultando quindi più incisivo. Se si considera che le persone utilizzano internet soprattutto come mezzo per informarsi è facile intuire l’importanza delle relazioni che si instaurano nel web in termini di scambio di opinioni circa prodotti e servizi”.
Fonte: ADVertiser