Scritto da Admin
31 Mar 2008

Brand Responsibility. Come una marca stabilisce un rapporto etico con il pubblico

Il tema della Corporate Social Responsibility (CSR) è più attuale che mai. Ed è una situazione che di riflesso coinvolgerà sempre più anche il mondo del branding. Nella fase attuale del capitalismo, l’attribuzione di una qualche responsabilità sociale alle imprese è, paradossalmente, un’evoluzione progressista dei nostri tempi, impensabile fino a poco tempo fa. Ma cosa s’intende per CSR? Perché ultimamente se ne discute tanto? Cosa fanno le marche in proposito? E in che modo questi aspetti possono influire sulla loro percezione?
Oggi per apparire sensibili ai problemi sociali non è più sufficiente sponsorizzare un evento a sfondo umanitario né fare una donazione ad una associazione senza scopo di lucro. E’ invece necessario integrare, in modo sostenibile e costante, questi aspetti nella personalità dell’impresa e quindi nella marca che la rappresenta. Minacce ambientali, effetto serra, distribuzione delle ricchezze, guerre infinite, libertà, diritti umani, la fame nel terzo mondo, la globalizzazione, l’energia ecc…. questi sono solo una parte di tutto ciò a cui un’azienda può attingere per individuare la propria responsabilità sociale da sostenere nel tempo.
L’attenzione diffusa a questi problemi, grazie principalmente all’incremento delle comunicazioni e molto alla sostenibilità delle nuove generazioni, ha fatto sì che le aziende siano sempre più obbligate a preoccuparsi attivamente del mondo in cui vivono.
Negli ultimi decenni, come sappiamo, le marche hanno conquistato non solo la scena economica ma anche quella sociale, scalando spesso con totale inconsapevolezza la piramide dei bisogni per raggiungere l’apice dei desideri del consumatore. Questa inconsapevolezza si è però evoluta trasformandosi oggi in un’arma a doppio taglio per le aziende: da un lato infatti esse continuano a godere dei frutti che la marca produce, dall’altro iniziamo a subirne passivamente anche i ritorni negativi.
Per il “nuovo” e responsabile consumatore l’impatto di certi comportamenti, adottati per raggiungere i profitti aziendali, si concretizza sempre più in una sensazione conflittuale di sentimenti.
Questo avviene perché un brand va attualmente ben oltre al sua valenza finanziaria, identificando un’intenzione d’essere. La forza, infatti, con cui una marca s’imprime nella mente ha un peso specifico talmente grande da presidiare in modo completamente autonomo la parte emotiva di un individuo.
Per quanto si tenti di controllare un brand, esso agisce nell’inconscio come un cyborg dall’intelligenza artificiale che si auto-alimenta.
Il mondo cambia, la globalizzazione – nata per fare business – sta fortunatamente creando una cultura civica migliore, senza precedenti nella storia umana. Gli interessi sociali, prima raramente diffusi, sono adesso almeno condivisibili dalla massa.
Ricordiamoci che, quando parliamo di brand, non ci riferiamo solo ad un marchio che firma un prodotto, ma dobbiamo pensare che attraverso di esso un’impresa ha la possibilità di antropomorfizzarsi.
Attuare una strategia orientata alla CSR comunque conviene: un’azienda che riesce a incarnare uno spirito umano sviluppa un potere economico senza limiti.
Compriamo da chi ci dà fiducia e ci fidiamo di più degli uomini che delle macchine. Meglio se sono uomini simili a noi, che la pensano come noi e con i nostri stessi valori. Per poterlo fare però, una marca deve agire da individuo consapevole sì delle proprie possibilità, ma anche dei propri doveri.
Prendiamo dall’enciclopedia Treccani la definizione di “responsabile”: lo è chi risponde delle proprie azioni e dei propri comportamenti, rendendone ragione e subendone le conseguenze.
Se proviamo ad accostare questa concezione al concetto di brand, in quanto persona, ci accorgiamo immediatamente di essere giunti al punto nevralgico del concetto.
Uno degli aspetti fondamentali della marca nel mercato odierno è la sua potenziale capacità di dialogare continuamente con il pubblico, comunicando emozioni allargate che progressivamente vanno oltre il prodotto o il servizio offerto.
L’area d’azione del branding, infatti, non è più la semplice transazione economica tra azienda e cliente, ma è il processo che porta alla creazione di un rapporto di empatia, di feeling con il ricevente, costituito da una precisa serie di sensazioni e atteggiamenti in cui l’azione, nel nostro caso l’acquisto, diventa una naturale conseguenza.
Ma come, quindi, ogni marca potrebbe con una piccola mossa agire in modo responsabile?
Per far sì che si crei fiducia e credibilità tra le parti, è necessario che il brand si faccia interprete dei nuovi paradigmi della comunità
, che non sono solo riferiti alla salvaguardia dell’ambiente, ai diritti dei lavoratori o alle attività di solidarietà sociale, potrebbe voler significare essere semplicemente trasparenti.
A un’azienda di marca oggi è richiesto di essere più chiara nel modo di porsi, di avere il coraggi odi trasmettere un’ identità netta e una personalità pulita. Al contrario, ciò che spesso accade è di vedere imprese che non hanno coraggio di fare delle scelte importanti e di renderle pubbliche senza compromessi. Pensandoci bene si tratta di un atteggiamento alquanto assurdo, perché il marketing impone da sempre di operare inequivocabilmente sul proprio posizionamento nel mercato; eppure ancora oggi esistono aziende che, per il timore di perdere opportunità di business, mantengono spudoratamente il piede in mille scarpe. Creando peraltro dubbi e perplessità.
Il consumatore è un cittadino. E il cittadino del mondo delle marche è stanco di assistere a tali comportamenti. Il cittadino non si fida più di istituzioni autoreferenziali, ha bisogno di punti di riferimento che siano in grado di persistere nel tempo senza tradire il bisogno di stabilità.
Quindi, se un brand vuole dimostrare davvero una reale responsabilità sociale, il primo degli obiettivi da raggiungere è aumentare il proprio grado di trasparenza. Un’impresa è oggi connotata dalla propria marca. Essere trasparenti per una marca significa rendere, per esempio, più accessibile il raggiungimento di tutte le informazioni che la riguardano, emettendo quindi messaggi chiari. Il rapporto che la marca costruisce con i propri interlocutori si fonda su una promessa e su una serie di intenzioni che devono emergere in modo automatico e sincero in ogni situazione di contatto con il pubblico. A questo punto, se vogliamo che un brand sia in grado di affrontare la competizione del nuovo millennio, è importante che esso venga concepito con giudizio. Un esempio è quello di sfuggire alla massacrante guerra dei prezzi. Il consumatore moderno è diventato una figura competente ed esigente, attento a problemi di cui prima non era a conoscenza. Se il costo di prodotto è ragionevole, il consumatore accetta anche un prezzo più alto se ne conosce la natura.
L’utente non è uno sprovveduto e ormai nessuno pensa che un’azienda non debba mirare al profitto, quindi – visti i presupposti – risulta vantaggioso agire con una maggiore responsabilità sociale.
L’utente si muove con confidenza nei diversi mercati, creandosi da solo le proprie convinzioni e i propri desideri, è proprio in questa ottica che le marche devono diventare un amico coerente su cui costruire la propria ragion d’essere e la propria credibilità, coinvolgendo direttamente il cliente.
In questo contesto di “credibilità in progress” occorre un confronto aperto e dinamico con gli stakeholder, impostando la strategia di branding secondo i moderni principi che devono integrare, o a volte cambiare, quelli tradizionali del mondo degli affari.

Non è solamente l’agire nel proprio ambito merceologico che determina una corretta e proficua brand responsability, ma è il codice dei valori e degli atteggiamenti, che permette di firmare e rendere distintive queste azioni, arricchendo e rafforzando le associazioni positive che la marca evoca nella mente del cliente.
Un’ultima cosa: essere trasparenti può voler dire anche ammettere i propri errori. Sbagliare è umano. E un po’ di umanità è tutto quello che, in definitiva, ognuno di noi vorrebbe dai brand.
Fonte: Mediaforum