Scritto da Admin
20 Mag 2008

Hillary vs. Obama, ovvero il prodotto contro il brand


Il caso di marketing più clamoroso del 2008 è la sfida politica tra Hillary Clinton e Barack Obama. “E’ l’antica diatriba tra il prodotto e il brand” ha osservato su Advertising Age Jennifer Patterson, planning director del network La Comunidad. “Hillary ha trascorso gli ultimi sei anni della sua vita a costruire un buon prodotto, con gli agganci e le mosse utili a renderla unica candidata credibile. Ma Obama ha fatto di più. Ha preso la sua esperienza politica e l’ha condita di emotività e partecipazione: il suo prodotto è diventato un brand”. Hillary è un pc, Obama un Mac, osservava nelle settimane scorse qualche esperto di marketing; “Obama è la Nike, Hillary un paio di mocassini caldi e comodi” è il parallelismo scelto dalla Patterson per chiarire ancora meglio le differenze tra i due.
Eppure la squadra di comunicazione di Hillary è guidata dal gotha pubblicitario americano. Nel marketing team che segue l’ex first lady ci sono Roy Spence, amico di lunga data dei Clinton e CEO dell’agenzia del gruppo Omnicom Gsd&M; Andy Berlin, CEO del Group of Creative Agencies di Wpp, nonché fondatore di varie agenzie tra cui Berlin Cameron & P.; e Jimmy Siegel, ex senior executive creative director di Bbdo e ora fondatore e direttore creativo di A-political, società creata in partnership con la cdp Moxie Pictures. Per loro la sfida di comunicazione non è delle più semplici: si tratta da un lato di ribadire la validità del prodotto “Hillary”, l’esperienza, l’efficienza, la tenacia, (niente di scontato visto che come prima donna a concorrere alla Casa Bianca deve anche sconfiggere qualche pregiudizio sessista); dall’altro rivestirlo da una patina di umanità, dipingerla come una donna come tante, con cedimenti e fragilità. Se Obama è il ragazzo di strada che ha realizzato il sogno di concorrere alla presidenza ( o così il suo team di comunicazione l’ha dipinto), Hillary è per molti americani una donna di palazzo, l’ex first lady, fredda e calcolatrice che ha sopportato tutto pur di arrivare alla casa Bianca. Rovesciare questo preconcetto è stata l’impresa più difficile che il team di comunicazione ha dovuto affrontare, ma quando c’è riuscito, i risultati sono stati immediati; la vittoria in New Hampshire è arrivata dopo qualche lacrime “casualmente” sgorgate in un dibattito pubblico; quella in Texas, dopo un faccia a faccia con Obama in cui l’ex first lady, dopo averlo attaccato con la grinta di una leonessa, ha ricordato al pubblico in sala il suo difficile passato (con un riferimento nemmeno troppo velato ai tradimenti del marito) meritandosi una standing ovation.
Il punto è che, alternando forza e fragilità, la strategia di comunicazione di Hillary appare oggi contraddittoria. Il pubblico fa fatica a riconoscere nella ormai celebre e parodiato spot delle “3 del mattino” – quello sulla sicurezza nazionale, in cui Hillary si presenta l’unica candidata capace di affrontare una situazione di emergenza – la stessa bambina di tre anni, con i riccioli biondi e il vestitino della festa che sorride alla telecamera nel commercial confezionato per emozionare gli elettori al voto in Ohio. Il prodotto c’è, insomma, ma il brand è confuso.
La strategia di comunicazione di Barack Obama, invece, è molto chiara. A capo della squadra c’è David Axelrod ex reporter del Chicago Tribune e oggi CEO della Akp Media’s che ha già seguito diverse campagne per i democratici, comprese quelle per Kerry e Edwards nelle scorse presidenziali. Il chief media strategist Axelrod ha scelto due agenzie pubblicitarie giovani e orientate su target under 30, vale a dire la Gmmb del gruppo Omnicom e l’indipendente SS&K, Quest’ultima soprattutto è stata preziosa per realizzare la strategia del “bottom-up”, ovvero quella che opera dal basso all’alto: l’esperienza politica di Obama prende il via dalla strada e la strada oggi è internet. Per questo il senatore dell’Illinois ha agganciato il suo elettorato sul web, l’ha corteggiato via mail, emozionato con gli spot su YouTube e le foto su Flicker, raccogliendo consenso e soprattutto denaro: 55 milioni di dollari, solo nel mese di febbraio, a colpi di piccolissime donazioni di 25 dollari. Obama, insomma, ha creato una comunità di persone che si riconoscono nel suo brand e che, a un certo punto, spontaneamente spargono il suo “verbo”. Il video “I believe Barack Obama”, creato da una squadra di stelle della musica capeggiate da I.am e diventato famoso in tutto il mondo, è stato l’esempio più noto nella miriade di spot prodotti spontaneamente dai suoi seguaci. Obama è così coinvolgente che anche la stessa Clinton, secondo una divertente pubblicità creata dalla Bbh New York per il deodorante Axe, voterebbe per lui.
Ma se è chiaro che è Obama a vincere la sfida sul piano della comunicazione, quello che non è ancora chiaro, invece, è chi si aggiudicherà la corsa blu alla Casa Bianca. A tre mesi dalla partenza della campagna per le primarie, infatti, i due candidati sono ancora i protagonisti di un testa a testa serratissimo e la differenza nel numero di delegati schierati per l’uno e l’altra è talmente sottile da rendere decisivo ogni appuntamento elettorale. Ed ogni dibattito televisivo. Nel primo trimestre dell’anno, infatti, secondo un’analisi del MediaVest, i tre network di non stop news, vale a dire Cnn, Msnbc e Fox News hanno visto crescere sensibilmente i propri ascolti, rispettivamente del 111%, dell’82% e di un più modesto + 13%.
Di pari passo, la sfida serrata tra i due democratici ha avuto l’effetto di far lievitare di elezione in elezione il budget pubblicitario televisivo: se nel “SuperTuesday”, che aveva portato al voto oltre 20 stati, i milioni spesi in pubblicità erano stati complessivamente poco più di 10, nei soli Texas e Ohio Hillary e Obama hanno investito 22milioni di dollari (con Obama che ha quasi doppiato l’investimento di Hillary). E per la prossima sfida del 22 aprile in Pennsylvania, uno stato “must-win” per entrambi, Tns Media Intelligence’s Campaign Media Analysis Group prevede una posta record di 40 milioni di dollari. In totale, Pennsylvania esclusa, i democratici hanno già investito nei soli broadcast 210 milioni di dollari, cui si aggiungono la Tv via cavo che, secondo le dichiarazioni della National Cable Communications, nel primo trimestre sono già cresciute del 15-20%.
Una manna dal cielo per l’asfittico mercato televisivo americano che nel 2007 ha chiuso con un misero +0,2%.
E non è che l’inizio. Le elezioni di novembre sono ancora lontane e Obama e Hillary continueranno a farsi la guerra certamente fino alle ultime primarie di giungo. E’ anche per questo che la previsione fornita da PQ Media parla di un budget complessivo record di 1,6 milioni di dollari spesi da tutti i candidati su tutti i mezzi, di questi, l’80% circa, si riverserà sulla cara vecchia televisione, che dunque, anche in queste elezioni politiche, nonostante il massiccio uso di internet e dei media alternativi, si prepara a fare la parte da leone.
Fonte: Mediaforum