Scritto da Admin
30 Mag 2008

I marchi che fabbricano il valore delle insegne

È H&M il brand del retail a più alto valore economico in Europa. Lo sostiene l’indagine Top Performing European Retail Brands condotta da Interbrand, la prima nel Vecchio Continente che ordina i marchi della distribuzione secondo questo parametro. L’insegna di origine svedese è stata accreditata di un valore del brand pari a 10.366 milioni di euro ed ha così conquistato la leadership per quanto riguarda i retailer europei. L’azienda si propone così come trendsetter nel mondo dell’abbigliamento e, grazie all’ apporto di celebri designer, offre l’alta moda al mass market. Gli altri top performer della classifica, composta da venticinque brand, sono la francese Carrefour che, con un valore del brand di 6.620 milioni di euro, conquista la seconda posizione, e la svedese Ikea al terzo posto con 6.516 milioni di euro. In quarta e quinta posizione si sono classificate le britanniche Tesco (5.617 milioni di euro) e M&S (5.100 milioni di euro); seguono la spagnola Zara (4.112 milioni di euro), la tedesca Aldi (2.675 milioni di euro), la britannica Boots (2.003 milioni di euro), la spagnola El Corte Ingles (1. 930 milioni di euro), fino ad arrivare alla decima posizione occupata dalla francese Auchan (1.860 milioni di euro). Ma quali sono i punti di forza delle insegne meglio posizionate in classifica? «La strategia di prodotto, il potere del marchio proprio e l’innovazione dei format dei punti di vendita risponde Maurizio Meschia, direttore della rivista Centri Commerciali & -, tutte tipologie che si adattano a diverse localizzazioni e target, e la logistica efficientissima. Ma non trascurerei l’estrema attenzione alla clientela e dunque il servizio». I retail brand hanno insomma un’opportunità decisiva: sviluppare una catena di esperienze attraverso gli ambienti, gli standard di servizio, i prodotti e i servizi. E lo studio svolto da Interbrand dimostra proprio che svolgere tutto questo in modo corretto crea valore economico tanto per il brand quanto per l’azienda.
Analizzando la ricerca colpisce la presenza massiccia dei brand della Gran Bretagna, il Paese meglio rappresentato all’interno della classifica stilata da Interbrand sia in termini numerici sia in termini di settori. «La Gran Bretagna – spiega Meschia – è tradizionalmente all’avanguardia nella distribuzione moderna, anche per un portato delle esperienze maturate negli Stati Uniti. Non a caso il Regno Unito è il Paese europeo a maggiore tasso di concentrazione e maturità nel retail».
Un altro aspetto fondamentale messo in luce da questo studio è la mancanza di brand italiani all’interno della classifica. Una mancanza – fa notare Manfredi Ricca, business director dell’ufficio italiano di Interbrand – dovuta all’assenza di un requisito di base, ossia una significativa presenza a livello europeo. La limitata espansione dei brand nazionali è imputabile, in parte, a caratteristiche del nostro sistema-Paese, quali i molti vincoli normativi e la dimensione medio-piccola delle imprese italiane. Occorre però considerare anche un aspetto culturale: il retail viene ancora visto come uno spazio commerciale e non come un’esperienza. Non a caso, in Italia si parla spesso di insegna per definire quello che dovrebbe essere un retail brand: una sottigliezza linguistica che però esprime perfettamente come il brand sia accessorio rispetto al modello commerciale e non, come invece accade in questi casi di successo, il suo principio fondamentale.
Ma tra le ragioni dell’assenza di nomi italiani in questa graduatoria vi è anche il fatto che «il nostro sistema distributivo – afferma Meschia – è arretrato di almeno una decina d’anni rispetto ai Paesi europei più evoluti. La stessa Spagna ci ha superati largamente. I motivi sono molteplici, tra cui i complicati aspetti legislativi, il protezionismo del piccolo commercio ancora molto potente. Sono mancate visioni imprenditoriali lungimiranti, si è copiato senza esprimere originalità. Così siamo diventati terreno di conquista per le catene estere, pur con tutto il potenziale di creatività e di eccellenze che abbiamo. Non c’è ancora la forza di internazionalizzare, fatta salva la timida esperienza di Coop (l’unica catena nazionale insieme al gruppo Pam), sbarcata in Croazia. Nelle gallerie dei centri commerciali sono d’obbligo le insegne estere che tutti conosciamo, per ora non c’è via di uscita. Riusciamo a esportare solo le catene monomarca delle griffe della moda: non è poco, ma niente a che vedere con il mass market. Solo Autogrill è un autentico gruppo internazionale, che però si occupa di ristorazione. Credo tuttavia che qualcosa di buono si potrà esprimere una volta colmato il divario esistente e con la guida di una politica più aperta».
Analizzando in modo più approfondito lo studio condotto da Interbrand emergono anche ulteriori e significative evidenze. Per esempio, i top retailer generano valore economico riconoscendo l’importanza della creazione e dell’investimento sul proprio brand. Il 60% dei retailer che compaiono in questo studio offrono prodotti a marchio proprio, che contribuiscono al fatturato in una misura variabile tra il 30 e il 100%. Tre dei primi cinque brand offrono esclusivamente i propri brand. In secondo luogo, a produrre valore per i retailer è anche la consapevolezza di come e quando estendere il proprio brand in nuove categorie. I leader si trasformano da distributori passivi a “titolari” attivi di una propria clientela. Questo consente ai loro brand di muoversi attraverso i mercati ed estendere la propria offerta verso nuovi ambiti.
Lo studio mostra poi che l’espansione internazionale ha più successo quando il brand è un elemento trainante per la crescita dell’ azienda. Gli ostacoli operativi che possono mettere in pericolo la crescita oltre confine diminuiscono nel momento in cui il marchio agisce come un vero e proprio passaporto, creando domanda in nuove aree geografiche. Inoltre i retailer al vertice della graduatoria stilata da Interbrand sono consapevoli che la taglia “unica” non funziona quando si parla di ambiente di vendita. Una corretta progettazione dei format per massimizzare la brand experience e la performance finanziaria differenzia questi operatori dalla concorrenza e crea preferenza nella clientela.
Infine, un ruolo attivo di “cittadini all’interno della comunità” è un ulteriore elemento in grado di generare valore, creando una distinzione emotiva agli occhi dei consumatori che è molto più difficile da replicare rispetto a un’offerta di prodotti. La scelta di un brand deve suscitare sentimenti positivi nel potenziale cliente, ed è per questo che il modo in cui un brand si comporta sul mercato è essenziale. I principali retailer sono parte attiva nei dibattiti che stanno più a cuore ai consumatori.
Fonte: Mediaforum