Scritto da Admin
26 Mar 2009

Il futuro della comunicazione? Integrata!

E’ fuori di dubbio. E’ altissima l’attenzione che le aziende della moda dedicano oggi alla comunicazione, al punto da surclassare, talvolta, la dedizione al prodotto. Estremizzando il concetto, tra un ottimo prodotto mal comunicato e un prodotto mediocre comunicato con grande enfasi mediatica, è certo che il secondo è vincente.

Grandi risorse ed energie vengono dunque incanalate per creare quell’ inquantificabile plus che sta intorno all’azienda ed alla sua offerta. Rincorrendo strategie diverse, sottili, osmotiche. Così, se prima era la pagina pubblicitaria sulla carta stampata il veicolo più gettonato per far conoscere un vestito o un accessorio, ora se ne sono aggiunti molti altri a contenderne il primato. E nessuno sostituisce i precedenti, anzi si aggiunge per una strategia di comunicazione che si fa sempre più complessa. Dal web a iniziative mirate con testate specialistiche, dall’organizzazione di eventi ai progetti di co-marketing, dalla presenza itinerante nei luoghi strategici per i target, all’ausilio delle community interattive.

Abbiamo voluto approfondire l’argomento intervistando – con 8 domande – alcuni autorevoli esponenti del mondo della comunicazione e della pubblicità. Ne è emerso un panorama complesso e con grandi potenzialità di evoluzione. Abbiamo chiesto l’opinione di esperti di agenzie di comunicazione: Tullio Marcati (Studio Marcati), Isabella Errani (Studio Errani), Lorenza Bassetti (Ad Mirabilia) e Andrea D’Amico (Attila&co); di centri media: Mariangela Bonatto di Carat Luxury e Laura Sibi di Mindshare e di aziende del settore: Luisa Bertoncello, AD di Flash & Partners e a Federica Fusco, responsabile marketing di FGF Industry.

Web versus Carta stampata

Bassetti: Le due realtà non sono in contrapposizione: la comunicazione cartacea delle aziende sempre più spesso rimanda ad un contatto sul web; interessanti a tal proposito gli esperimenti già realizzati, soprattutto negli Stati Uniti, di fornire delle chiavette per leggere codici a barre sulle pagine delle riviste e traghettare il lettore direttamente su un sito specifico.
La soluzione forse non ha avuto un grande sviluppo, ma testimonia comunque l’esigenza delle aziende di utilizzare i media classici per creare traffico sul web, dove è possibile creare una comunicazione aziendale o di prodotto più completa e interattiva.

Bertoncello: Oggi sul sito di un brand vengono fatti investimenti elevati. Il sito, se ben costruito e interattivo, permette di catturare utenti e di fidelizzarli: la comunicazione sul brand oggi è a 360°. L’investimento in pianificazione su siti editoriali è proficuo nel momento in cui si crea un vero legame tra questi e il sito del brand (banner con link di accesso, iniziative, concorsi, ecc).

Bonatto: La pubblicità sulle riviste cartacee è ora sempre più spesso finalizzata ad un impatto grafico forte, quasi tattile, con soluzione sofisticate, come ad esempio il groupage con inserti di pesante carta dorata. Gli investimenti delle aziende della moda sul web stanno invece aumentando, anche in canali diversi (vedi per esempio il profumo Get Together di Giorgio Armani lanciato su MSN Messenger lo scorso giugno), ma sono ancora lontani dalla possibilità di offuscare la carta stampata.

D’Amico: La pagina pubblicitaria tabellare sulla carta equivale ad un annuncio pubblicitario su internet; nel primo caso si cerca di acquisire posizioni di pregio all’interno di un periodico, mentre il web non ha limitazioni di spazi ed è bilaterale, consente cioè un dialogo tra marca e utente. Sono quindi veicoli sinergici.

Testate consumer versus testate business

Bassetti: Le riviste rivolte al trade sempre più spesso passano dalla raccolta di inserzioni pubblicitarie a progetti di marketing e co-marketing mirati alla distribuzione, come ad esempio l’organizzazione di incontri, la pubblicazione di monografie, la sponsorizzazione di eventi… possono quindi costituire un partner privilegiato per le aziende al fine di una più efficace comunicazione”.

Bertoncello: L’importanza delle testate consumer è scontata, ma le testate specializzate, soprattutto quelle rivolte al trade, sono da considerarsi sempre più importanti perché consentono di informare i buyer sui nuovi marchi da inserire in negozio.

Bonatto: Molto dipende dalla tipologia di prodotto e dal periodo dell’anno: è fuor di dubbio che se si vuole pubblicizzare un profumo, magari in periodo natalizio, si mira alla stampa generalista. La stampa business è un buon veicolo quando l’obiettivo è l’ampliamento distributivo di un brand.

Errani: A mio avviso l’unica discriminante è costituita dalla qualità della testata. Certo i generalisti hanno il vantaggio di creare comunque contatti con un numero molto più elevato di lettori.

Marcati: Diciamo che nel caso di testate italiane rivolte al trade, conosciute per la loro valenza e autorevolezza, i direttori esercitano un’influenza preponderante nelle decisioni dei clienti di usare tali mezzi, spesso per i rapporti personali che si creano.

Sibi: La scelta del tipo di testata è estremamente soggettiva, è difficile generalizzare. In ogni caso la complementarietà tra i due diversi canali è sempre più importante per l’efficacia della comunicazione.

Carta stampata: settimanali, mensili o quotidiani e i free-magazine?

Bassetti: Ogni tipo di magazine può risultare efficace: in certi casi è più rilevante la readership, in altri l’alta frequenza di uscite o, per contro, la lunga vita di un numero; ciò che conta sempre di più oggi è evitare l’effetto marmellata: un eccesso di foliazione di pagine pubblicitarie ne riduce infatti l’impatto. I free-magazine hanno un valore nella misura in cui interessano il pubblico. La loro quota di mercato è destinata ad aumentare, anche se forse il fatto che si tratti di riviste gratuite ne può abbreviare la vita rendendole più ‘usa e getta’ di altre….

Bertoncello: Settimanali e mensili rappresentano per noi una percentuale importante d’investimento, abbiamo invece utilizzato i quotidiani per il lancio di campagne d’impatto o nuovi progetti e sicuramente prevediamo di aumentare gli investimenti su questo tipo di media. Interessante e significativa l’evoluzione dei free-magazine. Ci investiremo di più, purchè siano in sintonia con l’immagine del marchio.

Marcati: A prescindere dalla tipologia – anche se oggi c’è un surplus – sottolineo il fatto dell’importanza della veridicità dei dati sulla diffusione.

Gli eventi mediatici?

Fusco: Perché un evento mediatico venga ricordato deve coinvolgere il più possibile gente della moda, dello spettacolo, della politica ed eventualmente dello sport, perché oggi i diversi settori “da cui provengono i personaggi pubblici” sono sempre più osmotici.

Errani: Credo che oggi un evento sia di successo solo quando è veramente coerente con il marchio. Il suo ricordo deve evocare immediatamente il mondo di riferimento del brand.

D’Amico: L’esperiential marketing è una strategia imprescindibile per gestire bene eventi, per realizzare operazioni che lascino un’impressione chiara e vivida della personalità del marchio, con un approccio emozionale, sensoriale, di forte coinvolgimento.

Marcati: L’evento mediatico ha senso se fatto alla grande, cioè potendo disporre di budget adeguati, ed in maniera creativa, altrimenti è meglio non farlo.

La pubblicità televisiva?

Bassetti: A volte la frequenza di passaggio tambureggiante degli spot risulta piuttosto irritante, inficiando l’efficacia del messaggio; è quindi necessaria una gran ricerca creativa per conquistare interesse e destare simpatia per il prodotto o la marca, un lusso che lo spettatore gradisce e premia.

Errani: E’ vero che la moda usa poco la TV, ma io credo che una TV più di qualità farebbe avvicinare molti brand del fashion alla pubblicità televisiva.

Fusco: La televisione è indubbiamente il mezzo che ti permette di arrivare prima di tutti gli altri direttamente al consumatore finale, ovviamente il cospicuo investimento che comporta ne costituisce un deterrente.

Marcati: Certo che la pubblicità televisiva è un mezzo molto importante, che raggiunge ogni target di persone e di età; si fa ricordare però solo se gli spot riescono a sintetizzare una storia, e in questo la colonna sonora ha un ruolo di rilievo.

Sibi: Il mezzo televisivo non viene generalmente utilizzato dal mondo fashion/luxury ad eccezione di profumi, cosmesi o gioielli in determinati periodi dell’anno, come Natale o S.Valentino. Non escludo che in un prossimo futuro le TV satellitari, con attività che vanno al di là dei 30” dello spot, possano diventare un mezzo di comunicazione ampiamente utilizzato anche dalle grandi firme.

Co-marketing e co-branding

Bertoncello: Ritengo siano operazioni dalle potenzialità interessanti e profittevoli; certo è necessario trovare il partner che sia in sintonia con il DNA del brand, al fine di costruire un progetto efficace.

D’Amico: Le iniziative di co-marketing e di co-branding, se ben condotte, possono portare innovazione in un mercato che ha già sperimentato quasi tutto.

Fusco: Si tratta di strategie che per essere utili e proficue, devono esser mirate ed attentamente selezionate.

Marcati: Io penso che si tratti di mezzi di diffusione importanti, anche se ci sono ancora remore al loro utilizzo perché è diffuso il timore che uno dei due marchi venga cannibalizzato dall’altro.

Bassetti: Sono indubbiamente strumenti utili se l’obiettivo è di rinforzare il posizionamento di un brand nella mente del consumatore, per realizzare cioè il classico “dimmi con chi vai e ti dirò chi sei”. Quando, al contrario, sono strumenti per fare della promozione ad un costo inferiore, i danni possono essere superiori ai vantaggi.

Marketing itinerante – guerrilla marketing

Bertoncello: Io penso che rappresentino il futuro delle strategie di marketing: se costruite in modo intelligente possono comunicare con un ottimo ritorno, anche con investimenti non considerevoli.

Bonatto: La comunicazione su territorio è generalmente legata a momenti particolari della vita del brand e risulta importante per creare un contatto con il consumatore. Anche se non necessariamente il singolo evento risulta memorabile, è importante che sia ben concatenato in un progetto di ampio respiro. In fondo è l’insieme di tante piccole azioni a generare una visibilità ampia.

Errani: Credo che il guerrilla marketing possa essere molto interessante per marchi di impronta street. Per altri generi può rappresentare un’opportunità emergente, a patto però di costruire situazioni che ben esaltino la qualità del marchio.

Comunità interattive

Bassetti: Credo che le communities interattive possano avere una valenza informativa di rilievo. E’ certo che stimolare un dibattito su prodotti di nicchia o su marchi dal vasto pubblico aspirazionale è più facile che per la maggior parte dei prodotti di largo consumo. Una marca di pasta, un dentifricio o un detersivo difficilmente possono diventare il collante per la creazione di una community appassionata. Si tratta di una sfida in più per le aziende, stimolante sul piano intellettuale e professionale.

Bonatto: Hanno una loro rilevanza soprattutto i business blog, le community gestite dalle aziende, che possono così sondare in tempo reale pareri positivi o negativi; è la parola che viaggia su una dimensione tecnologica, la visione individuale lascia spazio a messaggi collettivi che possono influenzare le strategie di un’azienda.

D’Amico: Le communities comprendono oggi 8 milioni di italiani, quanti gli abbonati Sky, e rappresentano dunque un mondo di riferimento da tenere in grande considerazione, vista anche l’attitudine all’interazione degli utenti presenti.

Errani: Sicuramente sono efficaci: Gant ha scelto come testimonial per l’ultima campagna Scott Schuman, il noto fashion blogger newyorkese, la cui creatura “The sartorialist” è ormai un fenomeno di costume trasversale. E’ questo un esempio di connubio riuscito tra moda e communities interattive.

Fusco: Dipende dal tipo di prodotto e dal target, ovviamente risultano più efficaci se focalizzate su prodotti fashion rivolti ad un pubblico giovane.

Fonte: Pambianco