Scritto da Admin
20 Mag 2008
La carta (in)fedeltà è davvero (in)colpevole
Quasi l’80% dei clienti delle catene retail del nord america aderisce a un programma fedeltà. In America Latina, Medio Oriente e nelle regioni del Pacifico i livelli di partecipazione sono, viceversa, un po’ più bassi (circa 45%) mentre avvicinandoci alla realtà italiana, i clienti dei principali gruppi distributivi in Europa mostrano percentuali di partecipazione tra il 55% e il 60%. Sono questi i risultati presentati dall’indagine Global Omnibus Survey condotta da Nielsen nel dicembre 2007 su un panel di oltre 23.500 intervistati di 42 paesi. Il sondaggio conclude che sempre più catene al dettaglio stanno iniziando con ottimi risultai a gestire l’elevata quantità di dati relativi ai profili di acquisto dei clienti, trasformando le informazioni così ottenute in rilevanti azioni di merchandising e marketing.
E IN ITALIA?
Purtroppo nel nostro paese continuiamo a parlare ancora di carta fedeltà, ossia di semplici tessere di plastica oggetto di collezione da parte dei consumatori. Simposi, pamphlet, articoli, inchieste, interventi del garante: tutte le risorse cerebrali sono puntate su queste carte plastiche rettangolari e l’unico ardito approfondimento afferisce a potenziali intrusioni dei distributori sulla privacy del cliente. Occorre abbandonare la superficialità di analisi per affondare nella profondità di ricerca. Perchè le nostre menti si fermano allo strumento, magari demonizzandolo, senza volontà di attaccare alle radici il problema? Vi sarebbe da approfondire, infatti, temi principeschi di loyalty management che porterebbero, ed è questo il vero e unico obiettivo, a un diretto e notevole vantaggio per il cliente. Argomenti come la correlazione tra il comportamento del cliente nei punti vendita e la conseguente capacità di annullare le rotture di stock, con somma gioia dei consumatori. Oppure temi come le analisi si geomarketing sulle caratteristiche del bacino di utenza del punto di vendita e il relativo studio degli assortimenti ri-tarati ad hoc, per esempio per anziani o famiglie con bambini. O altresì semplici basket analysis per migliorare i display merceologici in funzione del momento d’uso o del percorso cerebrale del cliente. O lo studio dell’elasticità dei target agli eventi promozionali per ottimizzare le risorse nel punto di vendita e tanti altri temi ancora.
COLPEVOLE O INNOCENTE
L’abusata carta fedeltà è innocente o comunque ha tanti alibi. E’ colpevole, invece, l’incapacità manageriale di andare oltre e, quindi, il limitarsi al mero utilizzo della plastica per far ottenere regali e premi ai clienti attraverso cataloghi o collection, oppure ipotizzare la loyalty card solo come ulteriore strumento di drenaggio delle importanti falde economiche dell’industria di marca. O, per finire, pensare alla carta come
pericoloso orpello mefistofelico per capire informazioni sensibili a un povero e semplice consumatore. Dobbiamo tendere a una mirabile evoluzione verso le metodologie di
vero loyalty management al fine di realizzare un cambiamento culturale-mentale passano da un focus sullo strumento a un focus sull’obiettivo: la
piena soddisfazione delle istanze del cliente consumatore.
Fonte:
MarkUp