Scritto da Admin
14 Mar 2008

La competitività del made in Italy

Benché la posizione competitiva del sistema italiano sia relativamente debole, il made in Italy si conferma il nostro migliore biglietto da visita sui mercati internazionali: consente alle aziende italiane di tutelare la provenienza e la qualità delle loro lavorazioni e permette al consumatore finale di discriminare i prodotti italiani da quelli senza indicazione d’origine. Inoltre, facendo leva sui trend della globalizzazione e dell’accesso istantaneo dei mercati globali attraverso internet, il Bel Paese può contare su una solida vocazione e capacità imprenditoriale. Gli imprenditori italiani, forti del marchio made in Italy, hanno l’opportunità di colmare il ritardo accumulato nella modernizzazione dell’economia. Dai dati relativi all’export arrivano di fatto segnali positivi per l’innovazione e la competitività. Il Rapporto Pmi 2007, realizzato da Unioncamere e Istituto Tagliacarne e reso pubblico lo scorso ottobre, rileva infatti che il calo di competitività delle imprese italiane non è generalizzato e che la concorrenza delle merci nazionali si gioca sempre di più sulla qualità. Dalla stessa analisi emerge una vera e propria crescita del sistema industriale, ossia meno imprese ma più grandi, solide e in grado di commercializzare prodotti di qualità.
In alcuni casi, la leadership commerciale giocata sul contenuto di tecnologia dei prodotti e sulla capacità innovativa delle aziende, sembra ascrivibile all’abilità di poche imprese di anticipare le dinamiche del settore e di farsi promotori per l’intera filiera.
Esistono infatti casi d’eccellenza di alcuni gruppi industriali, soprattutto in alcuni settori e come nel caso di prodotti di alta gamma, che dovrebbero essere di ispirazione per tutti gli imprenditori italiani.
Secondo Armando Branchini, segretario generale di Altagamma, l’industria italiana dell’eccellenza mantiene salda la propria quota di mercato: dal 2005 al 2007 le esportazioni sono aumentate più del tasso di crescita dei consumi dei beni di lusso. Le imprese esportano oltre l’ 80% della produzione: “se si considerano le quote di consumo per nazione d’origine – spiega Branchini – l’Italia rappresenta il 30% alla pari con la Francia, mentre il 20% è da attribuire agli Stati Uniti e la restante parte è suddivisibile tra Gran Bretagna, Germania, Danimarca e Spagna“. In linea generale le aziende sono motivate a incrementare le esportazioni, ad aprire shop in shop e negozi monomarca in tutto il mondo. Oltretutto, mentre negli anni ’90 emergevano soprattutto i superbrand, oggi, benché le barriere d’entrata rimangano molto forti, abbiamo marchi di nicchia in ascesa, come Bottega Veneta, Missoni, ed Emilio Pucci. Tuttavia, ciò che allarma maggiormente gli operatori, oltre alla continua preoccupazione per la situazione congiunturale legata al super Euro è l’instabilità dell’economia Usa, oltre all’incertezza del mercato Giapponese.
Molti affermano che l’Italia sia formata da tanti marchi frutto del duro lavoro di piccole famiglie che hanno saputo trasformare un’idea in un profitto e che manchino i grandi gruppi finanziari a sostenere una così fiorente economia. Purtroppo è vero, ma l’imprenditore italiano sta cambiando, sta cominciando a capire che è arrivato il momento di investire sul marchio Made in Italy per crescere e rafforzare il proprio posizionamento sui mercati internazionali, approfittando anche della stagnazione economica del Giappone in questo specifico comparto.
Dopo tutto, siamo di fronte a uno scenario positivo e promettente, ma che rappresenta una sfida in termini di strategia e di operatività sia per i player consolidati che per quelli emergenti.
Fonte: Pubblico